La provincia in ginocchio: se scompare pure l’Oasi di Conza

Pubblicato il 21/03/2014
20131203_conza.jpgIn provincia di Avellino viviamo in emergenza e non è una novità. Non lo è perché da tempo combattiamo contro discariche, inceneritori, chiusure di tribunali, ospedali, ferrovie, funicolari e funivie. Oggi rischia di scomparire finanche l’Oasi di Conza della Campania.
Leggere delle difficoltà economiche in cui versa l’Oasi, dovute alle inefficienze della Provincia di Avellino, fa riflettere sullo stato delle cose e sulle enormi potenzialità sprecate da questa provincia. Il progetto Oasi di Conza è valido e lo dimostrano i fatti, perché in poco più di dieci anni ha raggiunto notevoli risultati: è divenuta un riferimento regionale e nazionale di buona gestione acquisendo una grande visibilità anche fuori dalla nostra regione. Nel 2012 ha vinto il titolo di “Miglior Oasi d’Italia” per il birdwatching e per il buon connubio gestione-conservazione. E’ un punto di riferimento per le scuole di tutta la Campania, arrivando ad ospitare migliaia di bambini ogni anno. Rappresenta un riferimento anche per il soccorso degli animali selvatici in difficoltà nella provincia di Avellino: numerosi sono stati infatti, in questi anni, gli animali feriti recuperati e salvati (cicogne, rapaci, ricci, istrici, volpi, etc.).
Ha ottenuto il riconoscimento nazionale di Centro di Educazione Ambientale del WWF. E’ sempre più meta di turismo, portando un notevole indotto sul territorio anche al di fuori dell’area protetta; nel solo 2013 tale indotto è stato superiore ai 40mila euro, e ciò grazie ai numerosi visitatori che, giunti sul territorio per visitare l’Oasi, hanno fruito delle diverse strutture ricettive come ristoranti ed agriturismi;
ha raggiunto una media di 5mila visitatori l’anno e un numero complessivo di circa 40mila visite negli ultimi 7 anni.
Intanto anche i privati stanno iniziando a pensare di investire nell’Oasi con un progetto di un centro congressi ecosostenible con posti letto e servizi annessi. Allora la riflessione è d’obbligo: questa provincia parla e prova a vivere di una cosa che tutti chiamano turismo e dove tutti vincono elezioni e promettono interventi concreti. Ma di cosa è fatto il turismo? E sopratutto, di cosa ha bisogno una provincia come la nostra per poterlo sviluppare? La risposta è banale e ovvia, perché il turismo è qualcosa legato al territorio e a tutta una serie di servizi che in primo luogo devono essere presenti, e poi anche efficienti. Servizi che devono esistere dapprima per i cittadini e poi per il turista, che tutto sommato, è solo un cittadino temporaneo di un luogo. Un territorio senza trasporti, sanità, servizi di accoglienza, presidi di legalità, perde molta della sua potenzialità turistica. I turisti vanno nei posti dove si possono sentire sicuri sotto tutti i punti di vista.
ob_9b268d_dscn0598E dunque, o ci crediamo, oppure no. Crederci significa che queste situazioni di emergenza devono sparire e che gli investimenti vanno dirottati massicciamente su forme di “produzione di servizi turistici” ottimali che permettano al territorio di essere vissuto e visto come attrattivo non solo per i turisti, ma anche per i privati che ci vogliono investire. Questa provincia deve credere nelle sue potenzialità e iniziare seriamente a lavorare sulle competenze, sulla promozione e nella creazione di servizi di accoglienza. Ma la Provincia di Avellino invece perde ogni giorno opportunità, e se anche una buona prassi come la gestione delll’Oasi di Conza rischia di essere interrotta, come possiamo pensare di accrescere ancora altri servizi in altre aree interne? Come possiamo pensare di sviluppare il turismo? Se chiudiamo anche la porta del turismo a cosa dobbiamo aggrapparci? Dobbiamo difendere le nostre eccellenze e svilupparne di altre. E l’Oasi di Conza non può sparire.

Un viaggio tra i sapori della sagra di Bagnoli Irpino

pubblicato su Selacapo.net

Quando viaggiamo in Europa cerchiamo eccellenze, particolarità, sapori e unicità che spesso sono a portata di mano, anzi in Italia spesso i sapori sono sotto casa. E in questo senso l’Irpinia è un’eccellenza di sapori e ritornare ogni anno a Bagnoli Irpino diventa quasi un obbligo per questa rubrica. Qui l’ottimo mix di profumi, sapori e splendido centro storico si ritrovano uniti ogni anno nella ormai rinomata Sagra della Castagna e del Tartufo nero.

Bagnoli è un paesino Irpino capace di attirare, grazie ai suoi sapori e ai suoi profumi, migliaia di visitatori nel freddo riscaldato dalle caldarroste più buone d’Italia.

Si presenta agli occhi piccolo raccolto e unico mentre scendi nel centro, inoltrandoti nei fumi e nei canti tipici di questa sagra dei sapori irpini. L’assaggio della specialità locale è gratuito. La castagna sbucciata ti si scioglie in bocca e ti lascia per un secondo impietrito a pensare, non solo che è calda, ma che è come una caramella servita in un cono di carta, da mani coperte da guanti.
E allora il freddo non c’è più e sei pronto a inoltrati nelle piccole strade dell’ottimo borgo a dispetto dei gradi che a ottobre qui sono davvero pochi.
Tra le locande che in questa occasione aprono ci trovi tutto ciò che questa terra offre: deliziosi e profumati piatti, bagnati da un ottimo vino. La castagna e il tartufo sono ovviamente i padroni, insieme all’ambiente suggestivo che qui viene creato ad hoc.
Le strade strette e impregnate di profumo e musica ti portano incuriosito a scoprire questo piccolo borgo, arrivando a sfociare in una piazza curata e accogliente sovrastata da un grande orologio che ricorda le più famose città del nord Europa. Anche se sei a Bagnoli Irpino.
La tradizione e tutta la storia di questo borgo sono incastonate e rappresentate da un grande particolare di questo centro, un albero che vive in una torre, ne assorbe la storia e i racconti fatti a suoi piedi, gli amori e chiaramente i sapori che si sono succeduti  nel tempo. Come per confermare che tutto si può fare, anche sopravvivere senza essere del tutto normali.

Questo albero protegge Bagnoli e tutti lo vedono come un padre, un simbolo di forza e coraggio che  i bagnolesi 

conservano gelosi. Un po’ come la sagra che vive in un’atmosfera magica, di una forza che sta nei suoi organizzatori, nei suoi prodotti e nelle tradizioni che senti sulla tua pelle mentre passeggi nelle strade.
Il paese è un gioiello di case custodite per bene, di porticati e pietre particolari, insegne gelose del passato dove castagna e tartufo ci vivono a pennello. Qui tutto ti ricorda le caratteristiche irpine, dai colori marroni ai profumi dei prodotti che in questi giorni danno il meglio di se.
Ti sembra di essere sospeso tra i vicoli a girare tra qualche edificio storico che il terremoto ci ha gentilmente concesso. Della torre protettiva e il castello Normanno, ad esempio, si può vedere la forza, della Chiesa dell’Assunta la fede del suo giallo imponente, nelle fontane presenti la l’importanza dell’acqua Irpinia.
Ma di questo paese le particolarità che senti nell’aria, le vedi tutte concentrate in questa sagra di ottobre, dove questa grande famiglia pensa a promuovere il suo credo turistico, fatto di colori e sapori legati alla storia che ogni anno riesce a crescere intorno ad un evento che riassume tutta il meglio di un popolo.
Qui c’è l’Irpinia che vive, quella che sulle sue caratteristiche principali vuole puntare.

Tra le alture Irpine. A Laceno.

pubblicato su Selacapo.net

I viaggi alla riscoperta dell’Irpinia riprendono, in un luogo dove la caratteristica principale è l’altezza, il sentir girar la testa per la mancanza di ossigeno. Un viaggio all’insegna dell’alto buon gusto, fatto di particolarità estreme che solo questa Irpinia, in questo luogo, può offrirti. Una varietà di altezze da non poter trovare da nessun’altra parte.
Laceno infatti, è un mix di alture nascoste che a scoprirle ci vuole magia e assenza di vertigini. Ѐ tutto altissimo qui. Dal momento in cui intravedi il lago è una sensazione di relax che coinvolge. Viste e colori mozzafiato sono mischiati, la neve invernale e il sole d’estate sono gli dèi incontrastati di questo pezzo d’Irpinia.
Ma la vetta è la regina delle alture con il monte Cervialto, che raggiunge quasi i 1809 metri, unico punto dell’entroterra Irpino dove puoi vedere direttamente il golfo di Salerno e se allunghi bene il collo….anche l’Adriatico.

La voglia di risalita che ti freme dentro la comprendi subito dopo aver circumnavigato il lago, ampio d’inverno, piccolo d’estate, protetto da mucche selvatiche a guardia di uno specchio d’acqua per loro fonte di vita. Temperature alte non ce ne sono all’inizio. La seggiovia che prendi, insicura, coinvolgente, divisa in due tratti, si trasforma ogni inverno in una macchina per sciatori; d’estate invece è solo un sentiero meccanico che ti aiuta a scoprire l’altezza più bella d’Irpinia, appunto.
Su in vetta il vento ti prende, le nuvole che vedi sembrano colorare il tuo fiato di un colore che non puoi vedere fino a quando l’orizzonte non ti entra negli occhi, dopo 200 metri di passeggio nel sottobosco più vivo che tu abbia mai visto.
Riscendendo invece, il senso di natura incontaminata lo trovi nell’altezza qualitativa del tartufo nero, che qui celebrano come un re. Ti coglie un’irrefrenabile voglia di tuffarti negli odori emanati dalle tante prelibatezze dei ristoranti del luogo. L’altezza infinita è nella castagna marrone, essa regina, un prodotto esportato e qui prodotto, conosciuto in Irpinia ma non tanto apprezzato.
Un’altezza quindi, soprattutto dei colori diversi che questo posto regala, in ogni stagione, in ogni odore.
Laceno è così: alto, sportivo, circolare e maestoso, in mezzo a montagne formatesi nel tempo nell’Irpinia più verde che ci sia. Ѐ qui che si possono vedere tutte insieme le caratteristiche di questa terra che vive, in ogni stagione con le cose più alte che essa può offrire.

Nel borgo di Quaglietta dove scoprirsi padroni dell’Irpinia

pubblicato su Selacapo.net

Ritorniamo alla nostra amata Irpinia, cercando di ingoiare una pillola digeribile che possa permetterci di vivere fino alla prossima destinazione europea.

In Irpinia ci entriamo da ovest… oggi non a caso. Al confine con la Provincia di Salerno nel borgo di Quaglietta, in un mosaico di case appiccicato ad una roccia, baluardo dell’Alta Irpinia ben visibile da ogni angolo tu lo voglia ammirare. Il borgo e il suo mistero ti rapiscono infatti da lontano, mentre tranquillamente viaggi verso l’interno est irpino o verso l’ampio ovest, su una strada a scorrimento veloce.
Un borgo nato per proteggere, apparentemente inespugnabile, che noi violeremo ripercorrendone tutte le varie tessere dei mosaico che l’uomo ha composto nei secoli per crearlo.
Le tessere sembrano estremamente instabili, con alla base una fonte d’acqua dalla quale Quaglietta prende il nome, e sono poggiate su una roccia che attraversata da la sensazione di immergersi nella fonte sottostante e uscirne differenti, quasi avesse proprietà miracolose. Sono incastonate da ingegneri del tempo in modo irregolare, guidati solo dalla legge fisica della sopravvivenza che quella fortezza assicurava.
All’ingresso ti senti già coperto di case, le tessere del mosaico appunto, che dopo aver attraversato una stradina che ti porta all’ingresso non immagini che possano essere così maestose. La perfezione degli ingegneri del tempo è evidente da questa nuova prospettiva.
Lo stemma del paesello ti accoglie e ti invita ad entrare, bianco e innocente sotto un porticato in pietre. Una quaglia, che non è l’origine del nome del paese (è semplice l’analogia), è lì a terra a cinguettare consigliando che tutto sommato puoi affrontare il viaggio nel tempo con molta serenità. Le tre torri presenti inoltre contribuiscono a creare aspettativa.
Dopo averle viste sei pronto ad entrare nel Medioevo. A cercare di espugnare la fortezza difesa da chissà cosa, e che difendeva chissà cosa.
Inizia la tua personale scalata alla torre che si dice sia protetta da un serpente… che probabilmente non c’è, ma che una leggenda ci racconta abbeverarsi allungandosi dalla cima del borgo fino alla fonte d’acqua vicina del Cantariello.
Prova a salire e forse alla fine il serpente ti farà entrare…
Mentre risali le stradine rivivi i tempi rosei che furono del borgo, quando macellai e fornai coloravano di odori quei vicoli, quando urla di bambini riempivano le piccole piazze e anziane affacciate ai balconi preparavano ravioli allo zenzifero. Vicoli oggi preda solo di sensazioni da riportare alla luce durante un giorno di riscoperta della storia.
Il serpente non scende a rovinarvi la giornata e si gode, dall’alto della torre vegliando sempre sul tuo cammino, la tua ammirazione nel contemplare il suo mondo.
A metà strada riesci a rivedere elementi dei padroni che furono, archi maestosi sovrastati da stemmi che sembrano voler ancora rivendicare il potere di un tempo, ma che ormai la storia ci ha consegnati sbiaditi e degni solo di pochi sguardi ammirati. Ad attirare la tua attenzione è la cima della torre, alta 8 metri e così piccola da lontano. Dove forse ti attende qualcuno o qualcosa.
La scoperta della cima è faticosa, ma l’entrata nella parte nobile del borgo ripaga della fatica: cuori scolpiti nella roccia parlano d’amori vissuti, maestose mura di prigionieri rinchiusi, fontane e cortili di cavalli e cavalieri ammaestrati, segni di vita passata.
Il Medioevo è qui. Il serpente ti lascia fare.
L’altare al centro del complesso in cima racconta di quanto importante fosse vivere anche aldilà del mondo terreno e l’obiettivo di raggiungere la torre ormai è a portata di mano. La cappelletta appena visibile nei suoi ultimi resti veglia su di te. Il serpente non si è fatto vivo e tu soddisfatto, affacciato ad uno dei tre finestroni in alto, hai per un attimo la sensazione di essere il padrone della valle.
Qua su l’immaginazione tra il vento è incontrollabile, il fiume sottostante nella tua mente si ingrossa, diventa navigabile. I saraceni sono all’orizzonte e li vedi avvicinarsi in barca mentre i tuoi fedeli prodi preparano oli bollenti, frecce da scaraventargli addosso nascosti tra i merletti appena ricostruiti dalla modernità.
La torre alla tua destra è sicura di se e il serpente resta buono nella legenda, lasciandoti vivere a pieno la sua fortezza. Qui su il mosaico appena attraversato lo senti che deve essere protetto, dai saraceni che vogliono assediarlo, ma soprattutto da chi vuole rendendolo inutilizzabile per le future generazioni. La scalata ti ha reso inconsapevolmente padrone dell’Irpinia e di questa fortezza, che da oggi in poi proteggerai senza rendertene conto, con o senza il serpente a far la guardia, ambasciatore in patria del più grande borgo dell’Alta Irpinia.

Sul cucuzzolo dell’Irpinia d’Oriente… a Cairano.

Una linea sottile immaginaria collega l’orlo del precipizio europeo al nostro prossimo punto dell’Irpinia, oggi d’Oriente.
Dalle Aran a Cairano il balzo è sempre “breve” usando la mente di chi viaggia, ovviamente. Per un viaggiatore, infatti, le distanze non esistono.
Il collegamento è dato da una linea sottile colorata di verde lunga 3000 km, una linea immaginaria che si crea all’interno della mente del viaggiatore quando si trova davanti allo spettacolo delle nature incontaminate caratteristiche comuni di questi luoghi, dove l’atmosfera colora i pensieri di chi vive quel momento.
Cairano in Irpinia è un paese inesistente nell’immaginario del turista comune, ma per il turista allocentric è una scalata alle emozioni del viaggio dove l’arrivo regala un’affacciata sulla terrazza naturale più spettacolare dell’Irpinia.
Siamo sempre qui per questo, per portarvi a scoprire luoghi Irpini dove non andreste mai, ma che vivere è una necessità.
A Cairano, come alle Aran, le sensazioni fanno il tuo viaggio.
La scalata al cucuzzolo ti porta in luoghi che sono la sintesi di scorci di vita vissuta ai lati di una natura che rende l’atmosfera irreale.
Le cantine abbandonate che ritrovi immediatamente dietro al centro ti rinviano a pensare che quella era una comunità viva che il progresso sta portando via…. Ma il cucuzzolo è in alto che ti guarda sfidandoti, fiero di se.
Allora accogli la sfida e ti poni in competizione, la voglia conoscerlo e scoprirlo diventa esigenza.
Ti sposti nella piccola e accogliente piazza IV novembre, protetta dalla chiesa di San Leone, raccolta e potente, dove inizi a pregustare pezzi d’Irpinia ricoperta dalle pale eoliche delle due Bisaccia.
Il cucuzzolo è vicino…. e il tintinnio delle campane accompagnata la tua scalata scandendo il tempo che qui non passa mai, ritma i tuoi passi e ti convince che qui l’Irpinia c’è e vive, lentamente.
Su in alto, quando sembri arrivato cogli il primo tesoro: lo skyline lucano ti coccola e ti si fotografa dentro, ti sorprende e ti convince che sul cucuzzolo c’è di meglio.
L’inoltro nel centro storico accolto dal vecchietto biasito dal tanto rumore inusuale ti inserisce in un centro ricostruito a strati, con colori, materiali e tecniche diverse che si intersecano in un piccolo mosaico di case intrecciate a stradine labirintiche. Riconosci l’arrivo sul cucuzzolo.
I saliscendi e i sottopassi di guidano nell’ultimo tratto di natura calpestata prima dell’arrivo.
I paesaggio irpino che ti accoglie è caloroso e inusuale, un misto di modernità e natura, fatto di un lago artificiale buttato in mezzo ad una valle, della visione dell’abbandonata vecchia Conza della Campania. Il Lago di Conza si mostra nella sua interezza, nel pieno della sua espansione e della sua potenzialità. Gli uccelli e le farfalle riassumono il tuo stato d’animo che inevitabilmente è silenzioso. Il campi coltivati sottostanti ti trasmettono la fatica e la voglia di fare di questa terra colpita e ripresasi più volte.
Cairano in cima, meta del nostro viaggio, a questo punto ti offre il tempo ti pensare in silenzio a te stesso inserito in questo contesto, e di come questo contesto possa essere il punto di partenza di una nuova pagina per i territori circostanti, punto di nuovo inizio di un mondo diverso dove uomo e natura convivono.
Cairano, fiducioso, intanto alle tue spalle ti protegge silenziosamente tra la maestosità del campanile e delle sue strutture religiose, con i suoi due livelli di strade parallele che lo fanno sembrare il luogo ideale dove vivere sensazioni da portare a casa orgogliosamente.
Il viaggio è una sensazione da vivere, per imparare come si fa Cairano è il posto giusto.

Le due Bisaccia… tra due est!

pubblicato su Selacapo.net

Lo scorso intervento ci ha portato a vivere la terra del conte e a sentire brividi di freddo lungo la schiena. Viaggiare ad est è stato emozionante, ma tornare nel sud Europa dell’Irpinia lo è ancora di più.
Con questo viaggio sentiremo però ancora brividi di freddo, ma per la temperatura che si registra mediamente agli 860 metri di Bisaccia! Nel pieno dell’Alta Irpinia, dell’Irpinia d’Oriente, quella terra che tutti sappiamo dov’è, ma che nessuno scopre mai a fondo, fatta di stupende alture dove l’unica parola a cui pensi continuamente è immensità.
Una parola questa, che riassume spesso la caratteristica presente e che “senti rimbombarti dentro” quando attraversi questi territori ampi e sterminati, dove il vento e il grano la fanno da padrone.
A Bisaccia tutto gira intorno alla parola immensità. Qui (per citare cantanti famosi) “un senso di vuoto ti colora” mentre ti avvicini al centro abitato, un senso colorato soprattutto di verde, l’originale verde Irpino.
L’immensità ti assale appena ti intersechi tra le curve che ti portano al paese e fin sul Formicoso, tra la maestosità delle pale eoliche che caratterizzano il paesaggio. Provi impotenza e fierezza nel sapere che quel territorio produce futuro, l’energia del futuro. L’immensità ti avvolge e ti costringe a fermarti per ammirare uno spettacolo di tecnologia e natura senza eguali.
L’immensità della forza della natura che anche qui si è manifestata nel terremoto, la vedi nella conformazione dell’abitato diviso in due: Bisaccia Vecchia e Bisaccia Nuova, per dirla con parole dei Bisaccesi. Nella Bisaccia Nuova che guarda dall’alto la Vecchia ti ritrovi un “quartiere costruito frettolosamente” dalla voglia di ripartire, spogliato della sua storia, dove tutto è freddo e sovrastato da un ospedale che il popolo ora fatica a tenersi.
L’immensa riflessione che ne consegue ti fa correre verso Bisaccia Vecchia, amorevolemente posta al di sotto della nuova, armoniosa e quasi nascosta, come se non volesse disturbare il nuovo che avanza… ma che è immensamente confortevole nella sua piazza centrale, bianca e pura. Qui è un ritorno al passato che ti porta, senza accorgertene, al centro storico che include il Castello Ducale.
L’immensità della storia di questo Castello, dimora di Federico II e Torquato Tasso, la senti sulle spalle mentre attraversi la lunga entrata che ti porta alle arcate e mentre ti addentri nel museo civico archeologico, segno di una preistoria che anche qui è stata presente.
L’immensità di Bisaccia c’è però soprattutto nella paura che leggi negli occhi della gente che si sente continuamente minacciata da un pericolo che pende come una spada di Damocle sulla propria testa. La continua possibilità che il verde, il bello, l’intoccabile, la storia e le tradizioni possano un giorno essere sommersi dai rifiuti che qualcuno, che qui non ha mai pensato di respirare questo immenso, pensa di poter portare.
L’immensità però è anche data dalla forza che percepisci, quando tornando a casa e rivivendo al contrario tutte le sensazioni e i brividi di freddo di prima pensi “…anche io devo contribuire a valorizzare e proteggere una cosa così immensa…”questo territorio c’è e ci sarà così com’è: un’unicità e una particolarità che solo l’Irpinia d’Oriente trasmette e che solo a Bisaccia puoi provare… immensamente.

Calitri l’arcobaleno a est est est!

pubblicato su Selacapo.net

Da Praga a Calitri il nostro viaggio continua in un’Europa che mostra mille volti. A circa 1500 km da Praga e a 28 da Caposele, tra un aereo e un’automobile, la nostra rubrica si sposta nei meandri dell’Irpinia più alta, probabilmente la capitale dell’Irpinia più alta: Calitri.
E’ qui che trovi l’Irpinia che non ti aspetti tra un pizzico di svago e un’enormità di colori del più famoso arco al mondo che, secondo la legenda, al termine nasconde il rinomato tesoro.
Calitri è rappresentata da un labirinto di angoli, stradine, scalinate e colori: un centro storico che si articola tra portali in pietra, simpatiche loggette, panoramiche arcate, palazzi delle famiglie illustri che anticamente abitavano il paese datati al XVIII secolo, grotte profonde e suggestive. Un fenomeno ottico, non metereologico, che porta alla visione di un mosaico multicolore.
Un arcobaleno ad est… est… est!
Un angolo d’Irpinia, tesoro che il folletto della legenda ha voluto posare qui tra ceramiche ed elementi unici di un terra riposante e stupenda, un tesoro tutto da trovare.
Il sogno del tesoro dell’arcobaleno è dappertutto….
Tra l’azzurro caratteristico del cielo sopra il Borgo Castello abitato fino al 1980…un recupero del passato fatto all’interno di un centro moderno e accogliente…un misto tra passato e futuro sovrastante il paese dove vivere mezza giornata con il fiato sospeso.
Con il giallo rappresentante la vivacità dell’ambiente che ti circonda quando attraversi le arcate e i vicoli intrecciati del centro storico…tra case dell’ottocento e case del duemila…in una cornice di stili e costruzioni sovrapposte nel tempo che ti lasciano di stucco…appunto!
Nel violetto delle sculture disseminate nel centro storico, posate da un gruppo di artisti spagnoli. Un museo all’aperto dove innovazione e tradizione si fondono senza stravolgere la realtà…. Ma che contribuiscono a comporre l’arcobaleno di colori mentali…questi spagnoli!
Nascosto nell’arancione delle ceramiche che qui hanno una tradizione millenaria…luogo di produzione di importanti opere raccolte minuziosamente nel “classico museo” tra una varietà di reperti.
Concentrato nell’intenso rosso…. Del piatto tipico del centro, “le cannazze”. Squisita pietanza di ziti spezzati conditi con ragù di carne mista, che non puoi far a meno di assaggiare quando, camminando per il centro ne senti l’odore in ogni angolo colorato e su ogni scalino… che sia esso dell’800 o del 500…
Nel verde che non c’è!!! Quello dell’Irpinia che non ti aspetti si presenta qui…nel borgo inserito nelle migliori località al mondo dove andare in pensione! Non certo un paradiso del divertimento…ma un paradiso per gli irpini alla ricerca del tesoro dell’arcobaleno…
Soprattutto nell’indaco. Il colore che in realtà non esiste, una sfumatura di viola aggiunta per arrivare al numero perfetto di colori per l’arcobaleno, il sette…che a Calitri è senza dubbio rappresentato dalla sensazione che ti attraversa al termine della passeggiata nel centro che ti fa pensare… “ma qui l’uomo cosa è stato capace di fare?”… Il settimo elemento che completa tutto l’arco dei colori che ogni visitatore crea in se in questo luogo.
Vi renderete conto che il tesoro della legenda lo avete trovato qui, dove la storia è presente in tutte le sue forme edilizie, che un irpino non solo deve conoscere, ma imparare a respirare… almeno per sentire la sensazione di essere ricchi per un giorno, o essersi arricchiti dentro, come la legenda forse vuole dire…
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